Breve intervista al fotografo Gian Paolo Barbieri
A cura di Marco Buscarino

Maestro lei è famoso per aver inventato fra l’altro, un genere fotografico di tipo teatrale, nel senso della suggestione fotografica di tipo caravaggesco, in cui nulla è lasciato al caso ma tutto concorre a rendere l’immagine misurata e spettacolare. Ci può dare alcuni elementi di interpretazione?
Ho iniziato a fotografare utilizzando il fondale bianco. Poi ho capito che fotografare è guardare in faccia alla vita, restituendo il senso del reale spogliato di ogni falsità. Certamente sono stato aiutato da straordinarie affinità di visioni, inquadrature, gesti, composizione alla maniera di Mantegna, Caravaggio… Il particolare si trasforma per creare una visione complessa della realtà. Bisogna sempre osservare. L’occhio è l’unico che può accorgersi della bellezza.
Mirella Petteni è stata per lei motivo di ispirazione, come la ricorda? Ci può parlare un po’ di quegli anni in cui le modelle italiane come Alberta Tiburzi, Benedetta Barzini lasciarono un segno inconfondibile nella fotografia di Moda?
Mirella Petteni è stata una delle prime modelle a dimostrare una straordinaria bravura, capacità di interpretazione e organizzazione. Sempre puntualissima, chiedeva la particolarità del catalogo che si doveva realizzare e lei portava scarpe, foulard, occhiali, toupet, guanti, calze e trucco. Bisogna ricordare che negli anni 60’ e 70’ non esisteva l’aiuto di una redattrice, truccatore, parrucchiere. La modella faceva tutto da sola. La moda Made in Italy stava per nascere. Come lei e prima di lei c’erano Tilly Tizzani, Iris Bianchi, Isabella Albonico, già in America, Benedetta Barzini, Alberta Tiburzi, Isa Stoppi, Ivana Bastianello, Marina Schiano, che conquistarono il mercato americano imponendosi con eccezionale bravura e determinazione, tutto dovuto al fatto che ognuna aveva una forte personalità, intelligenza e cultura. Cosa che oggi è abbastanza raro nel riscontrare queste caratteristiche.
Lei è considerato un maestro della fotografia internazionale a cui molti giovani fotografi fanno costante riferimento per il rigore e la serietà, cosa si sente di dire loro?
Mi considero uno dei tanti artigiani della fotografia. Non riesco a capire le doti che mi riscontrano. So solo che ho lavorato da giovanissimo e lo faccio tutt’ora. La più grande soddisfazione è quando sono felice nel vedere una foto ben riuscita. Se posso permettermi di suggerire qualche parola a chi inizia questo lavoro è di non permettersi di cedere mai. La vita è plasmata dalla forza che conduce al principio “passione”. Se si spegne la passione si spegne la vita. Quindi andare sempre avanti, pensare di testa propria, andare anche contro corrente e cercare di fare tanta, tanta cultura. Noi qui in Italia siamo avvantaggiati di avere un paese ricchissimo d’arte. Basta guardarsi intorno.
Brescia Photo Festival 2022
Visitato da Capitale Italia®

Photography Arizona Board of Regents
Nuovo appuntamento con i protagonisti della storia della fotografia mondiale al Museo di Santa Giulia di Brescia e negli altri musei cittadini collegati per l’edizione del Brescia Photo Festival 2022 a partire dal 31 marzo 2022. Il grande festival fotografico vede coinvolta la Fondazione Brescia Musei che produce l’intera manifestazione collaborando con il Ma.Co.f, Centro della Fotografia Italiana, dal punto di vista artistico e dispiegando tutte le competenze museali al servizio dell’organizzazione di un evento di livello internazionale quale è ormai diventato il festival bresciano. Tra gli appuntamenti di maggior richiamo vi è la mostra WESTON. Edward, Brett, Cole, Cara. Una dinastia di fotografi, la grande monografica, allestita al Museo di Santa Giulia, dedicata a Edward Weston (1886-1958), uno dei maestri della fotografia del Novecento, le cui opere sono esposte per la prima volta in Italia a fianco di quelle dei figli Brett e Cole e della nipote Cara.

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L’esposizione, curata da Filippo Maggia, promossa da Fondazione Brescia Musei e Skira e progettata in stretta sinergia con la famiglia Weston, propone oltre 80 capolavori, tra cui 40 del solo Edward, con i suoi lavori più significativi: dai nudi plastici, dalle dune di sabbia, dagli oggetti trasformati in sculture sino ai celebri vegetable – peperoni, carciofi, cavoli – e dalle conchiglie inquadrate in primissimo piano.
Ciò che colpisce delle 40 immagini in bianco e nero di Edward Weston insieme alla maestria tecnica del fotografo statunitense è il formato fotografico scelto dallo stesso per proporre i suoi lavori. Si va infatti in media dal formato 25,4 x 20,3 cm per le foto più grandi al formato 10,02 x 12,7 cm per le fotografie più piccole. Una scelta rivoluzionaria che lascia il segno nello spettatore.

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Lo sguardo di Edward Weston in questa mostra bresciana conferma la sua visione moderna della fotografia che ha saputo aprirsi all’interpretazione della realtà in chiave avanguardista. Notevoli sono i suoi nudi ancor oggi propositivi di una visione originale e distante da ogni facile clichè. Nonché intatta la sua forza dirompente in termini stilistici e nell’uso della luce. Un dispiegarsi di energia e di accostamenti fra natura e invenzione artistica in continuo movimento e mutamento. Nello stesso solco si collocano le immagini dei figli Brett e Cole e della nipote Cara nella costante ricerca di stabilire un contatto con la modernità di Edward sia pur nell’immaginario della realtà più vicina alla natura a noi contemporanea. Una ricerca inesauribile e affascinante in cui il messaggio di Edward rivive e caratterizza questa nuova generazione di artisti dell’immagine.

Oltre ai Weston, mostra accompagnata dal bel catalogo a cura di Skira editore, al Museo di Santa Giulia, è allestita l’interessante mostra Lo sguardo restituito sulla storia del ritratto dal dagherrotipo al selfie, a cura di Renato Corsini e Tatiana Agliani, un lungo viaggio tra le varie declinazioni del genere ritrattistico, dai primi del Novecento ai selfie, attraverso le fotografie di anonimi autori e grandi maestri quali Steve McCurry, Sebastião Salgado, Ugo Mulas, Gian Paolo Barbieri, Alberto Korda, Edward S. Curtis, Bert Stern, e molti altri.

Nel centenario della nascita, inoltre, al Museo Mo.Ca. il Brescia Photo Festival ricorda Pier Paolo Pasolini, con la mostra di ritratti Pier Paolo Pasolini. Per essere poeti, bisogna avere molto tempo, curata da Renato Corsini e Gerardo Martorelli. L’esposizione di sicuro impatto presenta le immagini di alcuni dei maestri del fotoreportage italiano Gianni Berengo Gardin, Federico Garolla, Sandro Becchetti, Aldo Durazzi, Ezio Vitale che riprendono l’intellettuale friulano a fianco alla madre Susanna Colussi e con gli amici di sempre Alberto Moravia, Elsa Morante, Dacia Maraini, e di altre persone a lui legate come Laura Betti. Il risultato è suggestivo e utile alla ricostruzione dell’ambiente culturale romano in cui Paolini si muoveva da protagonista.
A Pasolini, in occasione del Brescia Photo Festival, il cinema Nuovo Eden, art house cittadina della Fondazione Brescia Musei, dedica un programma speciale, Pasolini 100, con una selezione dei suoi capolavori in versione restaurata, in collaborazione con la Cineteca di Bologna.
Oltre alla rassegna dedicata al poeta e scrittore di Casarsa, il Mo.Ca. presenta la mostra di Maurizio Frullani, illuminanti ritratti al femminile con le statuarie donne eritree realizzati tra il 1993 e il 2000 in un’Eritrea sconvolta dalla guerra; i lavori di Fabrizio Garghetti, con la sua documentazione delle avanguardie artistiche italiane della metà degli anni ’60; e l’esposizione di N.V. Parekh, con i suoi celebri reportage da Mombasa e l’originale mostra del fotoreporter Sandro Becchetti “Protagonisti” un piacevole percorso fra i personaggi famosi nel mondo realizzati nell’arco di dieci anni per le pagine culturali de Il Messaggero.

Ed ancora nella nuova Pinacoteca Tosio Martinengo si potrà ammirare un insolito dialogo tra collezionisti che hanno fatto la storia: Peggy e Paolo. Una passione senza tempo. Il Brescia Photo Festival mette infatti in scena un inedito dialogo tra Paolo Tosio e Peggy Guggenheim, in un celebre scatto di Gianni Berengo Gardin: a distanza di più di un secolo, l’uno dall’altra, due collezionisti affidano al ritratto la memoria della loro passione. Un progetto one-off dedicata che Gianni Berengo Gardin dedica a Peggy Guggenheim, fotografata nella sua dimora veneziana a Palazzo Venier dei Leoni, sullo sfondo una scultura di Calder. Di fronte a lei, di Luigi Basiletti, il Ritratto del conte Paolo Tosio, il mecenate illuminato grazie al cui lascito, 170 anni fa, nel 1851, la città di Brescia inaugurò la prima galleria civica d’arte contemporanea in Italia, oggi la Pinacoteca Tosio Martinengo, recentemente aperta nuovamente al pubblico dopo un’importante operazione di riallestimento di sette sale e della sezione dedicata alle opere del ‘700.

Al grande maestro della fotografia Gianni Berengo Gardin è dedicata anche la serata di giovedì 31 marzo al cinema Nuovo Eden, quando, in occasione dell’apertura del Brescia Photo Festival, è in programma in prima visione per Brescia, il film Il ragazzo con la Leica. 60 anni d’Italia nello sguardo di Gianni Berengo Gardin, di Daniele Cini e Claudia Pampinella.
L’intera manifestazione si è conclusa il 24 luglio 2022
Per tutte le iniziative del Festival bresciaphotofestival.it
Sebastiao Salgado. Amazonia. Al Maxxi di Roma
Mostra a cura di Lélia Wanick Salgado. Sino al 21 agosto 2022

Dopo il progetto Genesi, dedicato alle regioni più remote del pianeta per testimoniarne la maestosa bellezza, Salgado ha intrapreso una nuova serie di viaggi per catturare l’incredibile ricchezza e varietà della foresta amazzonica brasiliana e i modi di vita dei suoi popoli, stabilendosi nei loro villaggi per settimane e fotografando i diversi gruppi etnici. La foresta dell’Amazzonia occupa infatti un terzo del continente sudamericano, un’area più estesa dell’intera Unione Europea. Questo progetto è durato sei anni durante i quali il Maestro ha fotografato la foresta, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano, registrando l’immensa potenza della natura di quei luoghi e cogliendone, allo stesso tempo, la fragilità.
Così Sebastião Salgado:“Questa mostra è il frutto di sette anni di vissuto umano e di spedizioni fotografiche compiute via terra, acqua e aria. Sin dal momento della sua ideazione, con Amazônia volevo ricreare un ambiente in cui il visitatore si sentisse avvolto dalla foresta e potesse immergersi sia nella sua vegetazione rigogliosa sia nella quotidianità delle popolazioni native. Queste immagini vogliono essere la testimonianza di ciò che resta di questo patrimonio immenso, che rischia di scomparire. Affinché la vita e la natura possano sottrarsi a ulteriori episodi di distruzione e depredazione, spetta a ogni singolo essere umano del pianeta prendere parte alla sua tutela”.
LA MOSTRA
Sono esposte più di 200 fotografie che propongono un’immersione totale nella foresta amazzonica, invitandoci a riflettere sulla necessità di proteggerla.
La mostra è divisa in due parti. Nella prima le fotografie sono organizzate per ambientazione paesaggistica, con le sezioni che vanno dalla Panoramica della foresta in cui si presenta al visitatore l’Amazzonia vista dall’alto, a I fiumi volanti, una delle caratteristiche più straordinarie e allo stesso tempo meno conosciute della foresta pluviale, ovvero la grande quantità d’acqua che si innalza verso
l’atmosfera. Tutta la forza, a volte devastante, delle piogge è raccontata in Tempeste tropicali, mentre Montagne presenta i rilievi montuosi che definiscono la vita del bacino amazzonico. Si prosegue con la sezione La foresta, un tempo definita “Inferno Verde”, oggi da vedere come uno straordinario tesoro della natura, per finire con Isole nel fiume, l’arcipelago che emerge dalle acque del Rio Negro.
La seconda parte è dedicata alle diverse popolazioni indigene immortalate da Salgado nei suoi numerosi viaggi, come gli Awá-Guajá, che contano solo 450 membri e sono considerati la tribù più
minacciata del pianeta, agli Yawanawá, che, sul punto di sparire, hanno ripreso il controllo delle proprie terre e la diffusione della loro cultura, prosperando, fino ai Korubo, fra le tribù con meno contatti esterni: proprio la spedizione di Salgado nel 2017 è stata la prima occasione in cui un team di documentaristi e giornalisti ha trascorso del tempo con loro.
Oltre alle immagini, poste a diverse altezze e presentate in diversi formati, la mostra si sviluppa in spazi che ricordano le “ocas”, tipiche abitazioni indigene, evocando in modo vivido i piccoli e isolati insediamenti umani nel cuore della giungla.
La visita è accompagnata da una traccia audio composta appositamente per la mostra da Jean-Michel Jarre e ispirata ai suoni autentici della foresta, come il fruscio degli alberi, i versi degli animali, il canto degli uccelli o il fragore dell’acqua che cade a picco dalle montagne.
Sono parte integrante dell’esposizione due sale di proiezione dedicate a due temi differenti: in una è mostrato il paesaggio boschivo, le cui immagini scorrono accompagnate dal suono del poema sinfonico Erosão, opera del compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos (1887-1959); nell’altra sono esposti alcuni ritratti di donne e uomini indigeni con in sottofondo una musica appositamente composta dal musicista brasiliano Rodolfo Stroeter. Nell’insieme, la visita di Amazônia vuole trasmettere, almeno in parte, quell’alone di magia che permea la regione amazzonica e le sue popolazioni native, per offrire ai visitatori un’esperienza intima e profonda capace di accompagnarli anche fuori dalla mostra.
Attirando l’attenzione sulla bellezza incomparabile di questa regione, Salgado vuole accendere i riflettori sulla necessità e l’urgenza di proteggerla insieme ai suoi abitanti. La foresta è un ecosistema fragile, che nelle aree protette dove vivono le comunità indigene non ha subito quasi alcun danno. Tutta l’umanità ha la responsabilità di occuparsi di questa risorsa universale, polmone verde del mondo, e dei suoi custodi.
Biglietti:
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